Storia - L'età moderna

La feudalità agli inizi del XVI secolo

Agli inizi del XVI secolo, la feudalità era molto cambiata rispetto alle forme originarie risalenti al periodo normanno. In particolare, era venuta meno la condizione servile dei vassalli rispetto al feudatario e, attraverso la codifica di statuti che rendevano meno arbitrario il potere feudale, si erano consolidate le comunità locali di cittadini, che nell’Italia Meridionale, prima dell’abolizione del feudalesimo nel 1806, erano denominate Università. Inoltre, il possesso di feudi e relativi titoli non era più una concessione esclusiva del sovrano a sudditi particolarmente valorosi o fedeli, ma era un bene alienabile dal titolare a chiunque, appartenente o meno alla classe aristocratica, avesse abbastanza denaro per acquistarlo.

Il feudo acquistato da Michele d’Afflitto, discendente da una ricca famiglia di mercanti napoletani di origine amalfitana, comprendeva i territori contigui di Barrea, Villetta Barrea e Scontrone. I rapporti tra il nuovo feudatario e i suoi vassalli, cioè gli abitanti dei suddetti paesi, erano regolati dai contratti, detti “capitoli”, concessi da Michele d’Afflitto nel 1495 e rinnovati nel 1534 da suo figlio Ferrante, tramite i quali il padrone dava in concessione ai vassalli le risorse feudali del territorio (terreni, pascoli, boschi, cacciagione, acqua, ecc.) dietro pagamento di canoni d’affitto.

Nel XVI secolo la popolazione di Barrea crebbe sensibilmente. Infatti, nel 1532 il paese fu tassato per 137 fuochi (1), mentre nel 1595 si contarono 203 fuochi. Tale incremento fu determinato principalmente dallo sviluppo economico indotto dalla fiorente industria armentizia protetta dalla Dogana della Mena delle pecore in Puglia.

Parallelamente aumentò la ricchezza e il prestigio dei feudatari di Barrea che nel 1569 acquistarono la signoria di Castel di Sangro e nel 1581 ereditarono la baronia di Trivento acquisendo il titolo di duchi di Castel di Sangro.

Nel 1602, Giorgio d’Afflitto, discendente diretto di Michele, trasferendo il titolo da Castel di Sangro, divenne il primo Duca di Barrea.

Come centro principale del piccolo ducato che comprendeva anche Villetta Barrea e Scontrone, Barrea divenne sede della Corte di giustizia baronale e del relativo ufficio di mastrodattia (2). Il feudatario gestiva i suoi interessi e le attività della Corte di giustizia tramite i propri rappresentanti locali. In particolare nominava, scegliendolo solitamente fuori dalla giurisdizione dell’Università, un Governatore cui delegava le prerogative, proprie del feudatario, di amministrare la giustizia e gestire l’ordine pubblico in qualità di comandante degli armigeri baronali.

Il progresso economico di molte famiglie locali e la presenza della Corte di giustizia baronale nel paese favorirono l’ascesa di una classe di professionisti che operavano come notai oppure al servizio del feudatario e ricoprivano spesso le principali cariche amministrative dell’Università.

Lo sviluppo di Barrea proseguì nella prima metà del ‘600, come testimonia la crescita della popolazione, che raggiunse 243 fuochi nel 1648, e lo sviluppo edilizio e artistico del paese. Le famiglie più facoltose gareggiavano per arricchire le principali chiese con altari monumentali e altre opere d’arte a testimonianza del prestigio sociale raggiunto e per assicurarsi un uso esclusivo degli stessi altari come tombe di famiglia. Parallelamente crebbe il divario economico tra il ceto ristretto dei possidenti, soprattutto armentari, e il resto della popolazione, composta prevalentemente da pastori e braccianti agricoli. Tale situazione, diffusa nel Viceregno e aggravata dalle sempre più pesanti imposizioni fiscali, creò forti tensioni sociali che sfociarono a Napoli nella rivolta di Masaniello del 1647. I fermenti della rivolta e la successiva azione repressiva si registrarono anche nella Vallis Regia e segnarono l’inizio di un periodo di declino economico e demografico caratterizzato anche da terremoti (1654), epidemie (tristemente nota la grande epidemia di peste del 1656 che decimò la popolazione del Regno) e carestie (1684).

Così, nel 1686 si tassarono solo 100 fuochi. In seguito, la popolazione iniziò una lenta ripresa: 126 fuochi nel 1699, 130+11 forestieri nel 1714, 137 + 13 forestieri nel 1718.

Nel XVIII secolo, l’ordinamento dell’Università di Barrea prevedeva numerose cariche. Tali cariche erano ricoperte da cittadini nominati di solito con libere elezioni cui partecipava tutta la popolazione. Le principali erano:

  • I sindaci, in numero di tre per anno, ciascuno dei quali gestiva l’amministrazione dell’Università, in particolare la riscossione dei tributi, per un quadrimestre (o terzo);
  • Il Cancelliere, carica ricoperta di solito da un notaio o, più raramente, da un prete in quanto richiedeva la capacità di leggere e scrivere;
  • Il tesoriere;
  • I Razionali o revisori dei conti;
  • Il Camerlengo (3) (nativo ed abitante del feudo), incaricato della vigilanza sull’Università. La sua nomina era quasi sempre una prerogativa del feudatario, che faceva una scelta fra una terna di uomini proposta dall’Università.

Le entrate principali dell’Università provenivano dalla tassazione dei fuochi (focatico), dei terreni e degli animali posseduti dai residenti e dall’affitto dei pascoli montani nel periodo estivo. Una parte delle entrate serviva per coprire la quota di imposte dirette assegnata all’Università dal governo centrale, un’altra parte spettava al feudatario, il resto serviva a coprire le spese correnti.

Il XVIII secolo vide una progressiva decadenza del ceto feudale. La famiglia d’Afflitto, dopo circa 300 anni di dominio su Barrea, si estinse con la morte di Giovanni D’Afflitto, ultimo Duca di Barrea dei d’Afflitto di Trivento e Loreto, avvenuta nel 1776, e la successiva scomparsa di sua sorella Stefania nel 1781, la quale aveva nominato suo erede Giovanni Battista Caracciolo, principe di Melissano.

Tuttavia il dominio dei Caracciolo di Melissano su Barrea durò pochi anni. Infatti, le vicende che seguirono la Rivoluzione Francese portarono, nel 1806, all’abolizione della feudalità nel Regno di Napoli. L’arrivo dei francesi determinò molti altri cambiamenti, sia nell’ordinamento amministrativo delle Università, da allora chiamate Comuni, sia nelle strutture economiche e sociali locali.

Le riforme che ebbero maggiori ripercussioni sull’economia montana furono l’abolizione della Dogana della Mena delle pecore in Puglia e la concessione in enfiteusi perpetua delle terre del Tavoliere di Puglia. La successiva graduale trasformazione del Tavoliere da pascolo invernale per le pecore a terreno destinato ad agricoltura determinò, nel corso del XIX secolo, un progressivo declino dell’industria armentizia e, con esso, la decadenza economica dell’Abruzzo montano.

Con la fine del feudalesimo, gli ultimi feudatari progressivamente alienarono le loro proprietà nella zona (4) a favore di possidenti del posto. Questi appartenevano alla classe borghese, composta principalmente da armentari arricchitisi con la pastorizia transumante e ulteriormente favoriti dall’eversione della feudalità e la censuazione del Tavoliere. Essi, disponendo di capitali, acquistarono vaste proprietà in Puglia e investirono molto nei rispettivi paesi d’origine.

Nel 1811, da un verbale a stampa per la divisione dei demani in Barrea, risulta che la popolazione ammontava a 1140 persone.

Con la restaurazione sul trono di Napoli di Ferdinando I nel 1815 iniziò un periodo di fermenti politici guidati dalla nuova classe borghese portatrice di idee liberali. A tale movimento parteciparono anche alcuni liberali di Barrea che, dopo i moti del 1848, subirono processi ed epurazioni dalle cariche pubbliche.

Nello stesso periodo, il Comune di Barrea, favorito dalla fine del regime feudale, mostrò molti segni di progresso finanziario, essendo spesso in attivo, e promosse la realizzazione di diverse opere pubbliche come, ad esempio, la costruzione del nuovo cimitero nel 1819-20, la pavimentazione delle vie urbane e, soprattutto, la costruzione, a partire dal 1837, di una strada rotabile per collegare il paese alla consolare degli Abruzzi.

Il brigantaggio

Nel 1860, con la spedizione dei Mille e l’imprevisto collasso del Regno delle Due Sicilie, nella Vallis Regia, come nel resto del Regno, si contrapposero la fazione favorevole al cambiamento e quella fedele alla monarchia borbonica. La proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861, segnò la sconfitta dei filo-borbonici, molti dei quali scelsero di continuare la lotta contro gli invasori piemontesi. Iniziò così un periodo di resistenza armata, noto come “brigantaggio”, che durò circa dieci anni.

Il banditismo nell’Abruzzo montano era un fenomeno endemico risalente all’epoca romana e strettamente legato al mondo della pastorizia transumante. Le montagne coperte di boschi dell’Abruzzo avevano favorito in ogni epoca passata la presenza di “fuoriusciti” dediti all’estorsione e al ricatto dei ricchi armentari che portavano nel periodo estivo le loro greggi sui pascoli montani abruzzesi. Nei territori di confine, come la Vallis Regia, i banditi erano ulteriormente avvantaggiati dalla possibilità di sfuggire alla cattura sconfinando nello Stato della Chiesa.

Il brigantaggio post-unitario, a differenza del banditismo comune, almeno in origine si presentò come un movimento avente motivazioni politiche, prima tra tutte la restaurazione della monarchia borbonica. Vi parteciparono ex militari, pastori, contadini e renitenti alla leva spesso indotti alla ribellione e finanziati direttamente dalla corte di Francesco II in esilio a Roma. La violenta repressione dei conquistatori ridusse progressivamente le speranze di successo dei borbonici e il brigantaggio si trasformò pian piano nella tradizionale attività eversiva tipica dei banditi.

Nella Vallis Regia e territori circostanti, il brigantaggio post-unitario fu piuttosto intenso e carico di conseguenze economiche e sociali. Molti degli episodi efferati nei quali furono coinvolti i protagonisti di quella epopea sono stati tramandati come leggende nella tradizione orale della zona.

In particolare, ebbe risonanza nazionale un eccidio avvenuto il 22 luglio 1863 nei pressi di Lagovivo, in territorio di Barrea. L’eccidio fu commesso dalla banda di Nunzio Tamburrini, brigante nativo di Roccaraso, il quale in uno scontro a fuoco uccise l’armentario di Barrea Emilio di Loreto, che fu anche mutilato, cinque militi appartenenti al reparto locale della Guardia Nazionale e alcuni pastori.

Per dieci anni tutta la zona fu teatro di scontri tra briganti e reparti dell’esercito “piemontese” con gravi danni per l’industria armentizia locale, per le altre attività economiche e per le casse comunali, prosciugate dalle spese per il mantenimento delle truppe, per le minori entrate dall’affitto dei pascoli e per tutte le attività di difesa dai briganti.

Dopo la presa di Roma, nel 1870, venne meno per gli ultimi briganti la via di fuga verso lo Stato della Chiesa. Con l’uccisione del brigante Domenico Fuoco sul monte Meta, nel 1870, e la cattura di Croce di Tola, detto Crocitto, sulla montagna barreana del Pallottiere da parte dei carabinieri guidati da Chiaffredo Bergia, avvenuta, dopo uno scontro a fuoco, il 29 luglio 1871, si concluse l’era del brigantaggio post-unitario nell’Italia meridionale.

Con la fine del brigantaggio, la vita nella Vallis Regia riprese pian piano il suo corso normale nell’ambito del nuovo Stato unitario. Il comune di Barrea dovette affrontare i cambiamenti nell’ordinamento amministrativo imposti dal modello piemontese e risanare il bilancio gravemente compromesso dagli eventi del decennio precedente. Ma la crisi della pastorizia transumante, acuita dalla quasi completa privatizzazione del Tavoliere di Puglia operata nel 1865, e la contemporanea crescita della popolazione inasprirono le tensioni sociali nel paese. Questa situazione trovò uno sfogo solo nell’emigrazione che, con diverse ondate a partire dalla fine dell’ottocento, portò centinaia di barreani a lasciare la terra natia.

L’emigrazione

Le cause dell’emigrazione dalla Vallis Regia, e dall’Abruzzo montano in generale, coincidono in larga parte con le cause del fenomeno nel resto d’Italia: la crisi agraria degli anni ottanta dell’ottocento, determinata dall’arrivo sul mercato europeo del grano americano, la crisi dell’artigianato locale causato dalla concorrenza della nascente produzione industriale, l’inasprimento fiscale post-unitario, la forte crescita demografica, dovuta al progresso della medicina, al miglioramento delle condizioni igieniche e alimentari e, più in generale, la crisi economica degli ultimi decenni del XIX secolo.

A queste motivazioni, se ne aggiunsero altre specifiche per l’Abruzzo montano derivanti dalle sue caratteristiche geografiche, dalla particolarità delle sue strutture economiche e da fattori storici e culturali.

Per secoli l’economia della Vallis Regia si era basata su un’agricoltura di sussistenza, essendo i terreni della zona poco adatti all’agricoltura e scarsamente produttivi, e sull’allevamento transumante, che costituiva la principale fonte di ricavi. Sul finire del XIX secolo questo sistema economico, per i motivi accennati sopra, era entrato in crisi. Inoltre, la popolazione locale aveva sempre avuto una forte propensione alla mobilità, determinata dalle migrazioni stagionali di quasi tutta la forza lavoro verso il Tavoliere delle Puglie, soprattutto pastori, e l’Agro Romano, soprattutto braccianti agricoli. Tali fattori favorirono la scelta migratoria.

Le mete degli emigranti furono inizialmente le Americhe, soprattutto gli Stati Uniti. Tale scelta fu incoraggiata dal basso costo dei biglietti praticati dagli armatori, le cui navi arrivavano in Italia cariche di merci e ripartivano cariche di emigranti, dall’effetto “catena migratoria”, per cui i pionieri dell’emigrazione iniziarono a richiamare parenti e conoscenti verso il nuovo mondo e dall’attrattiva esercitata dalle opportunità di arricchimento che l’emigrazione offriva.

Gli emigranti di Barrea si imbarcavano solitamente nel porto di Napoli e sbarcavano ad Ellis Island, presso New York, dove erano sottoposti alla lunga trafila per l’ammissione e ad un periodo di quarantena.

Ben presto iniziarono ad arrivare le rimesse degli emigranti e alcuni di essi, dopo anni di lavoro, decisero di tornare in patria e investire i propri risparmi nell’acquisto di poderi, nella ristrutturazione delle case di famiglia e nella realizzazione di nuove attività produttive. E’ il caso di Emilio di Iulio che, di ritorno dagli Stati Uniti, nel 1912 investì i propri risparmi nella realizzazione della prima centralina idroelettrica di Barrea.

Il flusso migratorio da Barrea verso gli Stati Uniti fu molto intenso dagli inizi del XX secolo fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.

Il XX secolo

Il 13 gennaio 1915, pochi mesi prima dell’entrata in guerra dell’Italia, la Marsica fu colpita da un violentissimo terremoto che rase al suolo Avezzano e quasi tutti i centri abitati vicini. L’onda sismica arrivò con forza anche a Barrea e provocò molti crolli nel centro storico e danni ingenti al patrimonio edilizio. Ci furono anche diversi morti e feriti.

Al termine della Prima Guerra Mondiale, costata al paese molti morti e mutilati, riprese il flusso migratorio verso l’estero, anche se con minore intensità, a causa dei nuovi vincoli imposti dal governo degli Stati Uniti e per la politica del regime fascista finalizzata a scoraggiare l’emigrazione verso l’estero. Al suo posto prese piede l’emigrazione interna al territorio nazionale, comprese le colonie, che per Barrea ebbe come principale destinazione Roma, che all’epoca era interessata da una forte crescita demografica.

Durante il fascismo, l’economia della Vallis Regia continuò a basarsi sulle tradizionali attività di agricoltura, con produzione in prevalenza di cereali, e allevamento, soprattutto di ovini, la seconda in forte declino (5).

Dal censimento generale del 1921 risulta che la popolazione di Barrea ammontava a 2013 persone, in leggero calo rispetto al massimo storico di 2038 registrato dieci anni prima. Nei dieci anni successivi la popolazione del paese crollò ai 1466 abitanti censiti nel 1931, segno questo di un periodo di profonda crisi economica nella zona.

Nel gennaio 1923, fu istituito ufficialmente, con decreto legislativo, il Parco Nazionale d’Abruzzo, che tanta parte avrebbe avuto nella riconversione economica di tutto il territorio. Il suo principale promotore e primo presidente, Erminio Sipari, dovette presto affrontare il primo storico scontro in difesa del territorio del Parco opponendosi al progetto della società Terni di realizzare due laghi artificiali a Barrea e Opi. Lo scontro andò avanti per alcuni anni a colpi di relazioni tecniche, contro-relazioni, interrogazioni al governo e finì per interessare lo stesso Mussolini. Infine, per motivi legati soprattutto a preoccupazioni di natura sanitaria, come il timore per la diffusione della malaria, la concessione alla società Terni non fu accordata e, per il momento, la realizzazione dei bacini idroelettrici fu accantonata.

A Erminio Sipari si devono anche i primi tentativi di sviluppo del settore turistico nel territorio del Parco.

Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale iniziò per Barrea uno dei periodi più drammatici della sua storia. Infatti, le note vicende belliche nelle quali fu coinvolta l’Italia portarono nell’autunno del 1943 all’attestazione del fronte di guerra tra l’esercito tedesco e gli Alleati lungo la linea Gustav che, tagliando in due l’Italia dall’Adriatico al Tirreno, passava a ridosso del territorio di Barrea. Il 27 ottobre 1943 la popolazione, ricevuto l’ordine di evacuazione entro 24 ore dal comando tedesco, fu costretta a lasciare case e possessi e a trasferirsi in massa verso nord, nella zona del Fucino. Nell’inverno del 1943-44 il paese fu occupato e saccheggiato dai tedeschi e fu continuamente sottoposto a bombardamenti. Gli occupanti causarono, tra l’altro, l’incendio della chiesa parrocchiale di S. Tommaso Apostolo che, oltre a procurare molti danni all’edificio, distrusse l’organo e il coro settecenteschi e il ricco archivio parrocchiale.

Degna di nota è la vicenda del capitano medico dell’aeronautica Aldo di Loreto medaglia d’oro al valor militare alla memoria. Egli, mentre organizzava e attuava nel territorio di Barrea un’attività di resistenza alle truppe occupanti, fu catturato da una pattuglia tedesca. Processato sommariamente e condannato a morte, fu fucilato il 12 novembre 1943. Le motivazioni della massima onorificenza riportano tra l’altro: «Calmo e sereno rifiutava con fiero stoicismo di essere bendato e, dopo aver indicato al plotone di esecuzione di mirare al cuore, cadeva senza fremito al grido di: "Viva l’Italia"».

La popolazione di Barrea, dopo un inverno di grandi privazioni, rientrò in paese nel giugno del 1944. I tedeschi in ritirata avevano minato gran parte delle case e delle strade e avevano fatto saltare l’antico ponte sul fiume Sangro, noto come ponte “romano” ma risalente probabilmente all’alto medioevo. Inoltre, molte delle case erano state danneggiate dagli eventi bellici e gran parte degli arredi e dei beni pubblici e privati era stata requisita dai tedeschi o era andata persa

Le strutture economiche della zona avevano subito un drastico ridimensionamento. L’agricoltura pagava mesi di abbandono, l’allevamento la perdita di gran parte del bestiame requisito per scopi bellici. Analogamente le altre attività produttive. Quindi, al rientro, la popolazione si trovò priva di tutto e fu costretta, fino al termine della guerra, a vivere in una condizione di indigenza ai limiti della denutrizione, solo parzialmente mitigata dagli aiuti alimentari provenienti dagli Stati Uniti.

Nel primo dopoguerra la situazione economica e sociale del paese rimaneva molto critica in quanto le basi economiche tradizionali, già in forte declino prima della guerra, non erano facilmente ripristinabili e il territorio non offriva nuovi sbocchi occupazionali alla forza lavoro locale. Di conseguenza, riprese il flusso migratorio, sia verso destinazioni interne, sia verso l’estero, soprattutto Francia, Belgio, Germania e Australia.

Il Lago

Il progetto della società Terni per la realizzazione di un bacino idroelettrico nella valle fu ripreso e questa volta portato a termine dalla Società Meridionale di Elettricità. I lavori per la costruzione della diga iniziarono nel 1948 e terminarono nel 1952 con il primo riempimento del bacino.

La creazione del lago, oltre a mutare radicalmente l’aspetto della valle, ebbe un forte impatto sull’economia locale. Infatti, la zona interessata dall’invaso era intensamente coltivata essendo la migliore dal punto di vista agricolo ed era sede di quattro mulini ad acqua, due privati e due pubblici, una centrale elettrica privata, due fornaci per la fabbricazione di laterizi e un lanificio. Inoltre, l’invaso sommerse l’area occupata dal cimitero comunale, che fu spostato in una nuova sede, dalla chiesa di Maria SS della Baia, ricostruita in paese, e dall’annesso convento francescano che, per tale motivo, fu demolito.

Negli anni 50, prese piede lo sfruttamento industriale dei boschi con la realizzazione di una segheria e impianti a fune per il trasporto dei tronchi. L’industria del legno finì negli anni 60 a causa dei vincoli imposti dal Parco Nazionale d’Abruzzo sul taglio dei boschi. La fine di questa importante attività economica causò una nuova crisi occupazionale con conseguenti nuove ondate migratorie. Nel decennio 1960-70 la popolazione di Barrea ebbe un nuovo crollo da 1413 abitanti censiti nel 1961 a 1028 del 1971.

Nello stesso periodo, scomparvero gli ultimi residui della tradizionale economia agro-pastorale e iniziarono a sparire tutte le millenarie manifestazioni culturali ad essa legate. Le ultime trebbiature di grano, coltivato ancora con metodi tradizionali, si ebbero alla fine degli anni 70. Gli ultimi pastori locali, che passavano la stagione estiva sui pascoli d’alta quota, alloggiando in capanne di pietra a secco, e migravano in Puglia durante l’inverno, operarono fino agli inizi degli anni 80.

Contemporaneamente iniziò a svilupparsi l’industria turistica. Il paese divenne meta, soprattutto nel periodo estivo, di villeggianti provenienti principalmente dal Lazio e dalla Campania e agli inizi degli anni 80 sembrava che la nuova attività economica potesse portare nuovo benessere a tutta la zona.

Ma alle ore 19.53 del 7 maggio 1984 una scossa dell’ottavo grado della scala Mercalli, con epicentro localizzato tra San Donato Val Comino e Barrea, fece tremare tutto il Centro Sud d’Italia e provocò gravi danni al patrimonio edilizio dei paesi della zona. Quattro giorni dopo, alle ore 12.40 del 11 maggio, una seconda forte scossa colpì la stessa zona causando ulteriori crolli e lesioni. Fortunatamente gli eventi sismici non provocarono vittime nel paese e nella zona maggiormente colpita si registrarono solo 2 decessi per arresto cardiaco.

La popolazione di Barrea fu costretta di nuovo a lasciare le proprie case e a rifugiarsi in accampamenti, prima di tende poi di roulotte, approntati dalla Protezione Civile.

L’opera di riparazione e ricostruzione delle case è stata lunga e laboriosa e tutt’oggi non può dirsi conclusa. Per molti anni, il centro storico di Barrea è rimasto chiuso in quanto trasformato in un unico grande cantiere e quando, dopo molti anni, le case sono state riconsegnate, quasi nessuno dei vecchi proprietari è tornato ad abitarvi. Molte delle case sono state vendute a turisti e sono quindi abitate solo per brevi periodi dell’anno. Per questo motivo, la parte più antica del paese è attualmente quasi disabitata. Il terremoto del 1984, oltre al notevole danno economico, ha causato la perdita irrimediabile del tessuto sociale che animava il centro del paese.

Attualmente il paese è sospeso tra una tendenza allo spopolamento (6) e tentativi di ripresa e rilancio delle attività economiche.

Note

(1) I fuochi corrispondevano grosso modo alle famiglie e, quindi, sono indicativi della popolazione, ma non consentono di appurare il numero preciso dei residenti anche perché c’erano persone o categorie di residenti esenti dalla tassazione sui fuochi (focatico).

(2) Il mastrodatti (dal latino Magister actorum) originariamente era, nella burocrazia del Regno di Napoli, un funzionario addetto alla redazione ed alla custodia degli atti pubblici e privati. Presente in ogni Corte locale ed in ogni Università, in seguito assunse anche funzioni giudiziarie, provvedendo alla istruttoria delle cause e raccogliendo le informazioni necessarie per il pronunciamento del giudice (fonte: Wikipedia).

(3) Nativo e abitante del feudo.

(4) Cioè la quota del feudo loro assegnata dalla Commissione Feudale, consistente soprattutto in pascoli montani e macchine idrauliche.

(5) Secondo il verbale di un intervento dell’onorevole Rivera relativo alla seduta della Camera dei Deputati del 24 aprile del 1959, si passò da 39.000 pecore possedute da barreani nel 1909, con 364 occupati, a 620 nel 1939 e nessun occupato.

(6) 776 residenti censiti nel 2001, 726 nel 2011.

Riferimenti

AA.VV., “Barrea Nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Storia – luoghi – itinerari”, Amaltea Edizioni, 2001

Cercone, Franco, “Abruzzo terra di briganti”, Edizioni Qualevita

D’Andrea, Uberto, "Appunti e documenti sulle vicende storiche di Barrea", Scuola Tipografica Gavignano, 1963

D’Andrea, Uberto, "Memorie di Storia Ecclesiastica Civile e Feudale di un Comune del Reame: Villetta Barrea, Vol.1", Premiato Stab. Tip. Angeletti, Sulmona, 1958

D’Andrea, Uberto, "Memorie di Storia Ecclesiastica Civile e Feudale di un Comune del Reame: Villetta Barrea, Vol.2", Scuola Tipografica Gavignano, 1959

D’Andrea, Uberto, " Notizie storiche sopra l’ordinamento e le vicende del Comune di Barrea”, Scuola Tipografica Gavignano, 1965

D’Andrea, Uberto, “I capitoli di Barrea del 1495-96 e del 1534”, Tipografia dell’Abbazia di Casamari, Frosinone

D’Andrea, Uberto, “Il Brigantaggio dopo l’unità nell’alta valle del Sangro e nell’alto Volturno (1860-1871)”, Tipografia dell’Abbazia di Casamari, Frosinone

Rivera, Vincenzo, “Profili essenziali dell’emigrazione abruzzese dall’unità ad oggi”, in Studi monografici sulla popolazione abruzzese, ed Cresa

Rossi, D.Antonio, "Barrea ossia la Valle Regia"

Sipari, Lorenzo Arnone, “Il parco nazionale d’Abruzzo liberato dall’allagamento