Territorio

"Contrassegni del Territorio"(1)

Geomorfologia

La montagna predomina in senso assoluto e presenta tutti i caratteri tipici dell’Appennino abruzzese mostrando i segni di una geolitologia assai varia per origine e formazione: dalle dolomie del Lias inferiore ai depositi morenici del Pleistocene; dai calcari biancastri del Giurassico inferiore ai conglomerati e brecce calcaree del Quaternario; dai calcari microgranulari del Cretacico inferiore alle argille marnoso-arenacee del Miocene superiore, ai detriti di falda, alle alluvioni sciolte attuali, alle alluvioni antiche terrazzate e alle terre rosse presenti nelle conche intermontane.

Una serie di tracce più o meno marcate e diffuse a caratterizzare l’aspetto dei luoghi rivelano l’opera incisiva che i ghiacciai del Quaternario hanno esercitato da circa un milione fino a 20.000 anni fa. La manifestazione più appariscente di un tale fenomeno si evidenzia nei circhi glaciali, in quei più o meno ampi anfiteatri, cioè, che spesso si notano al di sotto delle varie cime, come nei monti Marsicano e Petroso (m 2249) e che risaltano nella conformazione della Val di Rose impreziosita dalle luci delle pensose faggete.

Ancora all’azione dei ghiacciai si deve la formazione di Val Fondillo e di Valle Iannanghera tra le altre, dal fondo spesso pianeggiante e caratterizzate dalla tipica forma ad ‘U’. Anche l’origine dei pianori di alta quota, fra cui l’Aremogna, Campitelli e Biscurri dichiara come essi non siano altro che morene, e cioè depositi di rocce erose dai ghiacciai. A un affine movimento di materiale morenico va riportata l’origine del Lago Pantaniello, se non l’unico certo il maggiore invaso naturale di questi luoghi (2).

A plasmare il territorio hanno concorso e concorrono tuttora gli intensi fenomeni carsici e gli agenti meteorici. Questi ultimi si manifestano principalmente nei brecciati formati dagli accumuli di detriti erosi dalle cime, tra cui si distinguono per imponenza quelli del Monte Meta e del Monte Petroso.

Più diffusi sono i fenomeni carsici che in pratica interessano tutta la zona. Strettamente legati alla presenza della roccia calcarea, la quale a contatto con la pioggia resa acida dall’anidride carbonica viene facilmente erosa, essi si manifestano sotto forma di grotte e doline, di forre e inghiottitoi presenti un po’ dovunque. Tali fenomeni, inoltre, sono collegati alla struttura geologica, caratterizzata da numerose fratture della crosta terrestre, dette faglie, che determinano dislivelli e sprofondamenti in cui le acque meteoriche si immettono per iniziare lunghi e ignoti percorsi sotterranei.

Questo è quanto periodicamente si verifica sugli Altipiani Maggiori, dove l’acqua derivante dallo scioglimento delle nevi defluisce attraverso pochi inghiottitoi oppure alimenta piccoli laghi ed invasi di origine carsica simili al Lago Vivo, che si formano a ridosso delle doline, come vengono denominati gli avvallamenti più o meno ampi collegati con un inghiottitoio, e che risultano fondamentali per la fauna selvatica e domestica. Le stesse acque, talvolta, vanno ad alimentare le sorgenti vallive, come ebbe modo di verificare verso la fine del Settecento, Giuseppe Liberatore, allorché, studiando la natura e il clima del Piano delle Cinquemiglia, osservò come, colorando le acque di un laghetto primaverile, le stesse rifluissero in prossimità di Castel di Sangro.

Corsi e specchi d’acqua

Il carsismo determina sugli Altipiani Maggiori d’Abruzzo un’idrografia modesta e pressoché assente alle quote medio-alte con molti limiti per la vegetazione e per la fauna, non per mancanza di sorgenti, peraltro abbondanti, ma proprio per la elevata permeabilità del suolo che non consente la formazione di consistenti letti e bacini acquiferi. Innanzitutto per una tale ragione i maggiori corsi d’acqua di queste contrade si riducono al placido Vera, che bagna i Quarti di Pescocostanzo e quello dì Santa Chiara e che, incastonata nella riserva naturale gestita dall’Amministrazione Forestale, alimenta fra le sue onde incontaminate gli ultimi esemplari di una fauna pressoché estinta nella zona; e al Rasino, che, dopo aver bagnato le pendici di Roccaraso, si affretta a spezzare il suo corso fra balze e forre fino a raggiungere la sottostante vallata ed il Sangro.

La natura diversa e decisamente accidentata della zona altosangrina costringe invece le acque a percorsi spesso più tormentati, ma anche più lunghi e consistenti. Suggestivo segno di naturale esuberanza, sono i salti spumosi fra le rocce della Camosciara, indicate con nomi antichi e memori di misteriose mitologie pastorali come la Cascata delle Ninfe, oppure il frettoloso snodarsi del ruscello di Val Fondillo, pronto a riflettere cromatismi e umori di selve nelle brevi pozze diacce prima di fuggire in mille rivoli o di attorcersi fra i massi arrotondati dal suo continuo fluire non meno che dalla antica e paziente opera dei venti e dei geli, della pioggia e del sole.

Più a valle, il Rio Torto scende verso la raccolta Alfedena ora per anse dalle continue e larghe volute ora con modi di torrente, fino a formare, poco oltre il Ponte d’Achille, una sua “foce” degna della forza del Sangro, attraverso la quale il suo flusso ritrova quello del maggior fiume. In mezzo alla secolare torbaia, che sopravvive fra stagni e saliconi nella parte più meridionale dell’altopiano successivo disteso fra Alfedena e Castel di Sangro, affiorano le sorgenti gelide della Zittola, che percorrerà tutta la pianura con un procedere placido e silenzioso da lasciar credere davvero possibile l’ipotizzata derivazione del suo nome da un vezzeggiativo latino equivalente a “silenziosa”. Sono corsi d’acqua, però, dal percorso troppo breve perché trovino il tempo e lo spazio necessari ad assumere la fisionomia di veri e propri fiumi, come meglio evidenziano, nel territorio di Castel di Sangro, la fluente dovizia delle sorgenti del Rio, ormai in gran parte catturate per dissetare la Città, o quelle dello Zappannotte, incassato fra valloni scavati dalle sue periodiche furie torrentizie al pari del Passartano, che nella sua attuale denominazione contrae quella latina di Fossatum ortanum a ricordare come da epoca assai remota segnasse il passaggio per gli orti ormai disusati. Tutti, ad ogni modo, confluiscono nel Sangro, giustamente considerato il fiume per eccellenza della zona e uno dei più consistenti della Regione, grazie piuttosto ai 117 chilometri del percorso che alla sua portata.

Sgorgato ai piedi del Monte Turchio, esso è ancora poco più di un ruscello in prossimità di Pescasseroli, quel “Sarulus” o “piccolo Sangro” di cui parlava Benedetto Croce, che in questo ‘paese di fiabe’ era nato nel 1866. Sennonché, per quanto “ancora povero d’acque, ancora piccolo”, il suo carattere di “Sarolus” non gli impedisce, sebbene con il sussidio dei mille rivoli che ne rinvigoriscono il corso fin dall’origine, di dare robusto alimento a un invaso artificiale realizzato negli anni ‘50, il quale si inserisce nel paesaggio con la disinvolta spontaneità di un lago naturale, felice specchio d’acqua nel quale si rimirano, oltre alla austera Barrea, i tetti e gli intonaci dai rinnovati colori di Villetta Barrea e le case di Civitella Alfedena alte sulla cima.

Né è, questo, l’unico bacino realizzato nel comprensorio, ove si rammenti perlomeno l’altro ricavato dalle acque del Rio Torto, catturate pressappoco negli stessi anni, e sostenuto dalla diga che si erge su Alfedena e serra la gola alla Montagna Spaccata, poco più in basso del pianoro delle Forme o Valle Fiorita, l’affascinante platea sulla quale s’inerpica la cima svettante di Monte Meta. Anche in questo caso l’intervento dell’uomo si è armonizzato con la natura circostante, come dichiara il compendio reciproco dell’acqua che riflette sulla vegetazione il guizzare del sole e della secolare faggeta che a sua volta vi immerge le sue tinte, fino a trasformare le onde nel verde smeraldo delle estati o nel giallo topazio degli autunni che l’ansa profonda del bosco stringe gelosa per concederla, solamente alla vitalità circospetta degli uccelli palustri e ai queruli approdi stagionali dei migratori acquatici.

(1) Estratto da: "Uomini e Territorio fra l'Altosangro e l'Altopiano delle Cinquemiglia" – Guida della Comunità Montana di C.Savastano

(2) Invaso naturale di origine morenica, di forma ellittica, è situato a un'altitudine di 1818 metri a nord-est del Monte Greco. È il secondo lago per quota di tutto l’Appennino.